Bonus bebè riconosciuto a cittadino extracomunitario, riconosciuta la condotta discriminatoria da parte dell’ INPS.
Ordinanza del Tribunale di Bergamo
Nonostante la giurisprudenza italiana si sia allineata, da tempo, ai principi affermati dalla Dir. 2011/98/UE con riguardo alla parità di trattamento tra i cittadini comunitari ed extracomunitari in materia di prestazioni familiari, l’INPS continua a fare orecchie da mercante per quanto riguarda il riconoscimento del c.d. “bonus bebè” ai cittadini extracomunitari non in possesso del permesso di soggiorno UE.
Se da un lato la normativa che ha introdotto detta misura prevede che l’assegno in questione sia “corrisposto ………, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’UE o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno UE ……, residenti in Italia e a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente l’assegno sia in una condizione economica corrispondente a un valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) … non superiore a 25.000 euro annui”. L’art. 12 Dir. 2011/98/UE, stabilisce che i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale, beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza sociale tra i quali, certamente, rientra il “bonus bebè”, riconducibile alle “prestazioni familiari” di cui al Reg. 883/04/CE.
La Direttiva 2011/98/UE, seppur non recepita dall’Italia, ha efficacia diretta nell’ordinamento interno, in applicazione dell’art. 11 della Costituzione. Di conseguenza, tutti gli organi dello Stato, comprese le Pubbliche Amministrazioni, hanno l’obbligo di applicarla direttamente, disapplicando la norma italiana che dovesse risultare contrastante.
Conseguentemente, dal momento in cui l’art. 1, comma 125 della L. 190/2014, nella parte in cui riconosce il c.d. bonus bebè ai figli di cittadini extracomunitari solo se titolari di permesso di soggiorno UE per i soggiornanti di lungo periodo, contrasta con la Dir. 2011/98/UE che riconosce, invece, la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro di soggiorno in materia di sicurezza sociale ai cittadini di paesi terzi “lavoratori”.
Sulla base di queste premesse e di questi principi, con l’assistenza degli Avvocati Elierta Myftari ed Arjol Kondi, un cittadino kosovaro che si era visto negare dall’INPS il diritto ad ottenere l’assegno di natalità in quanto non possessore della c.d. “carta di soggiorno”, ha ottenuto giustizia dal Tribunale di Bergamo che, non solo ha riconosciuto come discriminatoria la condotta dell’ente previdenziale (con conseguente riconoscimento, per il ricorrente, del diritto ad ottenere il bonus), ma ha altresì condannato l’INPS al pagamento delle spese legali.